venerdì 1 marzo 2013

CUBA: TRA SANTERIA E SINCRETISMO RELIGIOSO



V PUNTATA DI ANTHROPOS:
  http://www.almaradio.it/blog/05-anthropos/
per gli appassionati di antropologia  seguite il sito dellAss.Culturale Antropocosmos:
http://www.antropocosmos.org/


di  MARIA VASSILEVA

In questa puntata Anthropos vi porterà alla scoperta di Cuba, situata nel arcipelago dei Caraibi dal clima tropicale ed esotico, un paradiso in terra che ci regalerà una puntata ricca di storia e di temi riguardanti lo studio  dell’antropologa Elena Bagalà, incentrato sul sincretismo religioso e la santeria. Premettiamo il fatto che la popolazione di Cuba è meticcia dal punto di vista culturale e lo è anche in campo religioso, il tema che più ci preme capire è la Santeria dove convengono queste credenze liturgiche. Anche di questo si è arricchita la Santeria che in terra cubana ha messo radici e si è ulteriormente alimentata da nuove fonti. Conosciuta anche come "Regla de Ocha", la Santeria è la più importante religione di origine africana trasportata a Cuba dagli schiavi di quel continente, mescolatisi in seguito nell'isola (il sincretismo) e praticata fino ai giorni nostri da un gran numero di fedeli al punto di essersi convertita in una rilevante componente culturale dell'identità nazionale cubana. Questo culto è originale dell'Africa equatoriale, più precisamente della regione compresa tra l'antico regno del Dahomey : Togo, Benin e il sud-ovest della Nigeria, dove vissero numerose etnie aventi come idioma comune il "yoruba". Oltre alla lingua, queste etnie dividevano tra loro molti tratti culturali e molte credenze religiose, specialmente quella per gli "orisha" che erano riconosciuti da tutte le tribù della regione. Con l'intensa tratta degli schiavi, che si svolse dal secolo XVI al secolo XIX per il lavoro nelle centrali di produzione dello zucchero, arrivano a Cuba questi "negri yoruba d'Africa"( così chiamati) che riuscirono a conservare vive le proprie credenze religiose grazie alla resistenza  nei confronti dei  "padroni" e all'abile identificazione degli "orisha" con i santi della religione cattolica a partire da alcune caratteristiche comuni (si fonde così, ad esempio, l'immagine di Santa Barbara con l'orisha Changò, signore del fuoco e del fulmine, dio della guerra; o quella di San Lazzaro con Babalù Ayè, anch'egli divinità dei lebbrosi e delle malattie della pelle). Il complesso sepolcro "yoruba" è composto da numerosi "orisha", che alla loro origine furono personalità reali dotate di "achè" (potere) e resi santi dai loro discendenti. L'orisha viene trasformato in una forza immateriale che non diventa percettibile agli esseri umani, se non quando prende possesso di uno di essi attraverso la cerimonia denominata "hacerse el santo". Tra gli orisha più conosciuti -dopo Changò e Babalù Ayè- ci sono Elegguà (signore delle strade, fusosi con il Nino de Atocha o Sant'Antonio da Padova), Obatalà (creatore della terra e dell'essere umano, identificato con la Virgen de las Mercedes) e Yemayà (madre della vita, identificata con la Virgen de Regla). A Cuba ha un ruolo di rilievo anche Ochùn, dea dell'amore, della femminilità e del fiume che è stata identificata con la Virgen de la Caridad del Cobre (patrona dell'isola).
Partiamo allora dallo studio svolto da Elena Bagalà a Cuba, precisamente nella città di Habana. La sua Tesi di Laurea si intitola :” Santería e folklore afrocubano: tra identità e razzismo nella Cuba contemporanea” .


Benvenuta ad Anthropos Elena,  dove si è svolta la tua ricerca?

 Le mie ricerche si sono svolte prevalentemente nella città dell'Habana, la capitale dell'isola che conta circa 2 milioni di abitanti.
Il mio progetto di ricerca è stato approvato dal Ministero della Cultura dell'Habana e supportato dalla Fundación Fernando Ortiz che mi ha offerto un servizio di tutoraggio per il periodo di ricerca. I luoghi su cui mi sono concentrata per le mie ricerche sono stati la Casa de África, il Cabildo Quisicuaba e il Templo de Oyá, tutti all'interno della città dell'Habana.

Di quale tema ti sei interessata?


Il mio lavoro presenta una analisi della società cubana contemporanea che tocca vari livelli, dalla contestualizzazione storica, alla situazione politica ed economica del paese, il tutto però è stato dedicato alla messa a fuoco di due temi, quello dell'identità e quello del razzismo, per farlo ho inoltre scelto un particolare punto di osservazione, ovvero l'ambito del folklore afrocubano e dei culti religiosi di origine africana a Cuba.
In effetti il mio punto di partenza è stato un altro, perché arrivando sull'isola per la prima volta sono stata colpita ed affascinata dagli aspetti relativi ai culti ed al folklore, con tutte le danze, canti e colori, cosa che mi ha spinto a voler approfondire al mia conoscenza di questi aspetti. Così quando sono tornata un anno dopo per effettuare la mia ricerca ho deciso che quello sarebbe stato il mio punto di partenza.

Cosa ti ha spinta ad intraprendere questa ricerca? Quale approccio hai scelto per svolgerla?


 Ciò che mi attirava tanto non erano la specificità dei culti, i significati simbolici e le cosmogonie, ma il loro rapporto con la società, la loro funzione sociale... le domande che mi facevo erano: qual'è il senso di questi culti oggi? Perché si stanno diffondendo sempre di più? Perché nonostante siano ambienti di origine africana entrano a farvi parte sempre più persone bianche?
Questo tipo di approccio, originale se vogliamo, perché ho scelto sostanzialmente di analizzare l'ambito del religioso senza parlare di religione, mi ha anche creato qualche difficoltà sul campo, perché i miei informatori si stupivano del fatto che non fossi così interessata a sapere nel dettaglio come avveniva un dato rito, con le sue complesse simbologie e regole, per questo fatto sono stata addirittura rimproverata...in qualche modo rompevo lo schema del ricercatore a cui erano abituati e faticavano a comprendere cosa realmente mi interessasse.
In un momento successivo, mentre stavo già svolgendo le ricerche di campo, hanno iniziato ad emergere le tematiche dell'identità, intesa come ricerca dell'identità e di affermazione personale, ma anche di costruzione identitaria in senso più ampio, riscrittura dell'identità nazionale; e quella del razzismo come problematica purtroppo ancora irrisolta, quindi ho lasciato che si sviluppassero diventando i due filoni principali del mio lavoro.

Nello specifico come si è strutturata la ricerca?


Il periodo di ricerca è durato circa 4 mesi, dai primi di gennaio fino ai primi di maggio del 2011. In questo lasso di tempo ho vissuto all'Habana e ho frequentato vari luoghi.
In primis la Fundación Fernando Ortiz, istituzione culturale ed un centro di ricerca antropologica, che ha sostenuto il mio progetto e che mi ha guidato nello svolgimento della ricerca, in particolare sono stata seguita dal professor José Matos Arévalo.
Inoltre ho frequentato molto la Casa de África, museo etnografico e luogo di confronto sui temi dell'africanía nel cuore dell'Habana Vieja. Questo quartiere è il quartiere storico della città, da cui è partita la mia ricerca, dopo aver partecipato al XV Convegno Internazionale di Antropologia Sociale e Culturale Afroamericana e al IV Incontro di Oralità “Festival Afropalabra”. Un altro luogo a cui mi sono dedicata è stato il Cabildo Quisicuaba, casa tempio e punto di riferimento dell'intera zona nel quartiere Centro Habana, un luogo dove religiosità e attività sociale a beneficio degli abitanti vengono presentati come l'impegno fondamentale a cui ci si dedica.
Ed infine ho frequentato il Templo de Oyá con il suo cabildo e ho seguito il Convegno de Jefes de Templos. Ognuno di questi luoghi vive in modo diverso il suo legame con l'africanía e mi ha dato modo di riflettere su alcune tematiche specifiche e di approfondire concetti ed argomenti legati alla disciplina antropologica.

Andiamo più nello specifico , sapresti spiegarci che cos'è un cabildo?
Mi fa molto piacere parlarne perché mi da la possibilità di chiarire il legame con il passato, con la storia, a cui in effetti ho dedicato quasi interamente il primo capitolo della mia tesi. Infatti ho ritenuto fondamentale sottolineare la continuità con la storia, ovvero narrare le vicende del passato, concentrandomi soprattutto su colonizzazione, schiavitù, guerre di indipendenza, fino alla rivoluzione... per giungere ad una analisi della situazione contemporanea che fosse in relazione con questo passato. Ho cercato di far emergere come molte delle problematiche oggi presenti siano frutto di questa storia, non si può parlare di razzismo o di identità oggi senza rivolgere lo sguardo al passato.
Tornando al cabildo, questo appunto ha un'origine storica, fu introdotto in epoca coloniale dagli spagnoli, a quei tempi era il luogo di ritrovo, su base “etnica”, di tutti gli abitanti. Era un po' come il nostro consiglio di zona, ma le finalità erano più ampie di quelle politiche, era un luogo deputato alla pratica di tradizioni e conservazione delle proprie origini oltre che di discussione politica. Anche gli schiavi avevano i loro cabildos e con il tempo questi luoghi si sono trasformati in luoghi di resistenza culturale ed in veri e propri luoghi di culto, perché in essi erano concessi i festeggiamenti e tutti i tipi di pratiche religiose e culturali, ad esempio la Santería. Quest'ultima accezione è sopravvissuta fino ad oggi e le case tempio, luoghi di culto e di ritrovo prettamente afrocubani vengono ancora chiamati così, cabildos appunto!

Allora hai parlato del fenomeno della “santeria”, di cosa si trattaa esattamente?


Culto di origine africana, arrivato a Cuba attraverso la tratta degli schiavi.
In africa venivano adorate varie divinità, ma una volta sul territorio cubano, gli schiavi, prevalentemente di origini yoruba e deportati da varie zone, hanno creato un pantheon con gran parte di queste divinità creando un culto unitario. Il nome santería è il frutto di un fraintendimento e di un sincretismo con la religione cristiana. Infatti i coloni spagnoli vedevano di cattivo occhio le credenze di origine africana che non riuscivano a comprendere ed imponevano il culto cristiano. Così gli schiavi, per poter continuare a praticare le loro religioni, iniziarono a “vestire” e “travestire” le loro divinità con i panni dei santi cristiani, da qui il nome santería che gli spagnoli attribuirono ai culti degli schiavi ironizzando sulla spropositata importanza che essi davano ai Santi rispetto alla figura del Cristo.
Questa definizione/denominazione è stata successivamente accettata ed ufficializzata ed utilizzata ancora oggi per definire i culti afrocubani.

 Parlami della Casa de África e delle riflessioni relative, in che modo si sono inserite nella ricerca?


Bene, devo dire che in questo luogo ho avuto modo di riflettere sul concetto di identità, infatti soprattutto prendendo spunto dall'intervista che ho fatto al direttore della Casa, Alberto Granado, mi sono resa conto di quando la questione degli afrodiscendenti fosse profondamente legata la percorso di riscrittura identitaria dello Stato cubano. Da poco più di 20 anni infatti sono state intraprese politiche volte al riscatto sociale e culturale della tradizione di origine africana a Cuba, si parla di afrodiscendenti e delle loro tradizioni come sinonimi della cultura cubana (è quello che è emerso dall'intervista), tanto che ora si preferisce chiamarle afrocubane, ma non è sempre stato così.
In breve, in epoca coloniale i neri, che erano prevalentemente schiavi, venivano discriminati insieme alle loro usanze e culti. Dopo la rivoluzione castrista e la salita al potere del partito comunista cubano si è agito su due livelli differenti, da un lato venivano approvate leggi per la parità dei diritti dei neri per eliminare, almeno a livello formale, la discriminazione, che però si è cristallizzata nei comportamenti sociali...(di questo ne parlerò dopo); dall'altra parte, in nome della costruzione di uno stato ateo, sono stati disincentivati e discriminati tutti culti religiosi e le pratiche ad essi relativi. Di conseguenza gran parte del bagaglio culturale di origine africana ha continuato ad essere screditato per altri 30 anni circa.
Poi cosa è successo? Il crollo del muro di Berlino, e quindi dell'asse URSS-Cuba, ha gettato l'isola in un periodo di grossa difficoltà, detto Período Especial, questo perché il sostegno dell'unione sovietica era venuto meno e Cuba, già sottomessa ad un embargo internazionale che dura da più di 50 anni, era rimasta praticamente sola.
A questo punto i vertici del paese hanno deciso di trasformare l'isola in una meta del turismo internazionale, di fare di questa risorsa il principale motore dell'economia e quindi si è iniziato ad investire in tutte quelle attività artistiche-folkloriche e culturali che avrebbero potuto incentivare il turismo, fungere da attrattiva. In poco tempo tutto ciò che poteva essere collegato al concetto di afrodiscendente è diventato bello, positivo e di moda... Il cambiamento è stato molto brusco, dalla marginalizzazione alla valorizzazione quasi esasperata, Alberto Granado mi palava di Santería (culto sincretico di origine africana) come se fosse archetipo del popolo cubano e della cultura cubana. Chiaramente per come la vedo io, non si può generalizzare ed estendere in questo modo a tutta la popolazione delle credenze che, pur essendo diffuse, non sono praticate o condivise da ciascun cubano.
Ciò che mi ha più colpito ed ha stimolato numerosi riflessioni è stato che pur partendo dal concetto di una identità nazionale definita come sincretica, composita, quindi un concetto non monolitico o con una unica origine, si è comunque arrivati a considerare il punto di arrivo di questa identità eterogenea come qualcosa di ben definito e poco mobile. Si è quindi caduti nella tipica trappola della definizione di identità come qualcosa di statico, tema molto caro alla nostra disciplina. Ovvero l'identità cubana attualmente viene definita in maniera statica e a mio avviso in maniera anche un po' riduttiva, questa enfasi che oggi viene posta sull'afrocubanità non rispecchia l'eterogeneità del popolo cubano, di fatti, non tutti si riconoscono in questa definizione. Si percepisce quindi un certo disagio ed uno scollamento tra la definizione ufficiale di identità cubana e ciò che la popolazione vive ogni giorno.

 Parlami dell’aspetto sociale del Cabildo Quisicuaba

Oltre al senso identitario, di legame con la storia e talvolta con le radici, al sentimento religioso e all'ambito che lo riguarda si affiancano altre due grandi tematiche connesse tra loro che sono emerse nella mia ricerca, ovvero il prestigio sociale e l'importanza del denaro. Queste riflessioni si sono fatte strada nel mio percorso soprattutto durante la mia frequentazione del Cabildo Quisicuaba, centro religioso, ma anche luogo di accoglienza e aiuto degli abitanti dell'intero quartiere, che siano fedeli o meno. Il Cabildo organizza attività culturali e ricreative gratuite portate avanti da volontari: offre un servizio di mensa (distribuzione di pasti gratuiti), di corsi e laboratori, oltre all'attività religiosa. Questo forte impegno nell'ambito sociale ha fatto si che molte persone si avvicinassero al Cabildo, alcune delle quali hanno poi anche intrapreso un percorso di fede. In sintesi si può affermare che l'ambito religioso quindi arriva anche a farsi carico, in certi casi, di problematiche sociali, di creare sostegno alla popolazione offrendo strutture e servizi che altrimenti mancherebbero.
A questo punto sono necessarie due parole sul capo del Cabildo, il fulcro accentratore, capo religioso detto babalaw, medico e padrone di casa Enrique Alemán. Sicuramente i suoi molteplici ruoli e soprattutto quello di capo religioso hanno portato questa persona a godere di un elevatissimo prestigio sociale, il che significa, riconoscimento formale ed informale, rispetto della popolazione ma anche istituzionale, legami con i vertici dello Stato; questo soprattutto perché gran parte delle attività del Cabildo, religiose o meno (a volte questo confine non è così netto) sono sostenute dal Partito (questo aspetto si collega a quello che ho già detto a proposito della riscrittura dell'identità cubana e dell'investimento sul folklore e sulle religioni afrocubane come attrattiva del paese).
A questo punto è chiaro ciò a cui mi riferisco quando parlo di prestigio sociale, in termini di riconoscimento. Quello che ancora manca è il legame con il denaro. All'interno delle religioni afrocubane il legame tra il denaro, il successo e quindi il riconoscimento sociale è molto stretto. È un aspetto che oggigiorno  viene vincolato anche alla religione e che ne costituisce uno degli aspetti fondamentali.
Esisteva originariamente un concetto di scambio che con il tempo si è tramutato in una quantificazione in denaro e che coinvolge ogni aspetto della religiosità. Ogni “prestazione”, che può essere una divinazione, un rituale o una richiesta, ha un “prezzo”, che spesso viene definito offerta, ma che in realtà ha un valore codificato ben preciso. Spesso i fedeli si rivolgono alla religiose per migliorare la situazione di vita quotidiana, quindi molto spesso anche l'aspetto economico, ma per affiliarsi bisogna spendere/investire molto denaro. Quindi da un lato si tende ad ostentare il fatto di essere affiliati perché ciò dimostra che si è in possesso del denaro necessario per farlo, dall'altro molte persone intraprendono questa via perché una volta raggiunto il grado di guida spirituale, babalaw, possono aprire un proprio luogo religioso, casa di culto, e fare di questo la loro professione. In questi ambienti è in effetti una costante il fatto di essere messi in guardia circa i molti cialtroni che si servono delle religione per arricchirsi.

lunedì 7 gennaio 2013

OSSESSIONATI DALLA MORTE




Noialtri vittime e persecutori facciamo parte di una stessa umanità, colleghi nello stesso sforzo di dimostrare l’esistenza di ideologie, sensazioni, atti eroici, religioni, ossessioni. E il resto dell’umanità, la grande maggioranza, in cosa è impegnata? 

La costruzione della realtà coloniale avvenuta nel Nuovo Mondo è stata e rimarrà un tema di grande interesse e molto studiato: quel Nuovo Mondo dove gli indiani e gli africani divennero soggetti per un numero inizialmente molto piccolo di cristiani. Come poté questa egemonia realizzarsi così rapidamente? Qualunque risposta possiamo dare, non sarebbe saggio ignorare o sottovalutare il ruolo svolto dal terrore. Con questo voglio dire che dobbiamo pensare attraverso il terrore, che oltre ad uno stato fisiologico è anche un fatto sociale e una costruzione culturale, le cui dimensioni barocche gli permettono di essere usato come mediatore par excellence nell’egemonia coloniale. Lo spazio della morte è uno degli spazi fondamentali in cui indiani, africani e bianchi dettero vita al Nuovo Mondo.
Occorre dare un senso alla morte?
 L’idea di morte sfugge ad una comprensione completa tramite la ragione; la morte come concetto astratto infatti non esiste, ciò che ha concretezza è solo la morte dell’individuo, o meglio, è solo l’individuo che muore. A differenza però di altri fenomeni della vita umana, noi non possiamo avere esperienza diretta della morte, pur vivendola, in quanto, come diceva Epicuro, “quando siamo noi non c’è la morte; quando c’è la morte, non siamo più noi”.
 L'argomento morte non è sfuggito anche nel passato a vari tentativi di spiegazione, di comprensione, vuoi attraverso la mitologia, la fede, vuoi razionalmente, ma è rimasto per lo più un non-senso, un elemento di scandalo per la ragione che tutto tende a conoscere, per poi dominare  e dirigere.   
  L'uomo, essere dotato di ragione, tende per una sua intima esigenza a volersi spiegare ogni fenomeno, in quanto la conoscenza produce sicurezza; la non conoscenza invece genera disagio, apprensione e lascia aperto il campo alle supposizioni, ai timori, che possono condizionare, a volte anche in modo pesante, la vita.
  In quanto la morte sfugge completamente all'ambito esperienziale dei singoli individui, è possibile parlare di essa solo tramite l'osservazione che di tale fenomeno si fa sugli altri. Inoltre, ciò che è possibile rilevare non è mai la morte in sé, ma il fenomeno del morire, che come processo evolutivo occupa un lasso temporale più o meno vasto, ma comunque percepibile dall'esterno.
   Sul senso della morte dunque, nessuno potrà dire qualcosa di vero o di falso, se verrà assunto come criterio di attendibilità la verificabilità.
   L'aspetto biologico, invece, può essere trattato con maggiore precisione e rigore; scientificamente la morte può essere definita come "perdita totale ed irreversibile della capacità dell'organismo di mantenere autonomamente la propria unità funzionale" e deve essere accertata con criteri che garantiscano la certezza diagnostica.
   Tutto questo, però, non contribuisce molto a rispondere a quelle domande filosofico-esistenziali che fanno dell'argomento morte uno dei temi più insidiosi e spesso angoscianti della riflessione umana.

Questo spazio della morte ha un’antica e ricca cultura. L’immaginazione sociale lo ha riempito delle proprie immagini metamorfiche del male e degli inferi: nella tradizione occidentale, lo troviamo in Omero, in Virgilio, nella Bibbia, in Dante, in Bosch, nell’Inquisizione, in Baudelaire, in Rimbaud, in Cuore di tenebra; nella tradizione dell’Amazzonia occidentale, nelle zone di apparizioni, di comunicazione tra terrestri ed esseri soprannaturali, di putrefazione, morte, rinascita e genesi, forse nei fiumi e nella terra del latte materno, eternamente immerso nella tenue luce verde delle foglie di coca (Reichel-Dolmatoff 1971). Con la conquista e la colonizzazione degli europei, questi spazi della morte si mescolano, diventando una fonte comune di significanti chiave che legano la cultura dei conquistatori con quella dei conquistati. Lo spazio della morte è fondamentalmente uno spazio di trasformazione: attraverso l’esperienza della morte, la vita; attraverso la paura, la perdita di sé e la conformità ad una nuova realtà; oppure anche attraverso il male, il bene. Perso nella selva oscura, camminando poi attraverso l’Inferno con la sua guida, Dante raggiunge il Paradiso solo dopo essersi arrampicato sulla schiena di Satana. Timerman può farci da guida, proprio come gli sciamani del Putumayo che conosco fanno da guida a chi si è perso nello spazio della morte.Potremmo chiederci: in quale posto dei cinque continenti del mondo chi vaga nello spazio della morte troverà se stesso? E per estensione: dove un’intera società troverà se stessa? Il vecchio teme il male della stregoneria, la battaglia per la sua anima. Tra lui, lo stregone e lo sciamano guaritore, si cerca e si lotta per i cinque continenti. Ma in questa storia c’e anche del riso, che punteggia la paura del mistero, facendoci tornare a mente il commento di Walter Benjamin sul modo in cui il romanticismo può travisare pericolosamente la natura dell’intossicazione.

“Ogni indagine seria delle doti e dei fenomeni occulti, surrealistici e allucinatori – egli scrive – presuppone un intreccio dialettico di cui una mentalità romantica non verrà mai a capo. E infatti non è molto utile sottolineare con tono patetico o fanatico gli aspetti enigmatici dell’enigmatico; noi riusciamo invece a penetrare il mistero solo nella misura in cui lo ritroviamo nella vita quotidiana, grazie a un’ottica dialettica che riconosce il quotidiano come impenetrabile, l’impenetrabile come quotidiano (Benjamin 1967, p. 23).
   Mentre l’uomo tenta di individuare il senso della morte, emerge con forza la rivendicazione del diritto ad una morte naturale, dove naturale non significa semplicemente biologica, fisiologica, il decesso per esaurimento delle forze vitali dovuto alla vecchiaia. Il significato più pieno del termine è possibile ravvisarlo nel concetto di ‘dignità umana’; infatti non è detto che una morte per vecchiaia riesca ad essere automaticamente anche dignitosa.
   La dignità più alta della morte sta forse nel ‘viverla’, interpretandola come coronamento, vertice di tutta la vita, al di là dell’età biologica dell’individuo; per far questo però occorre vivere ‘in confidenza’ con la morte per tutta la vita, cercando di trovare il senso dell’esistenza senza prescindere dalla morte e il senso di quest’ultima nella vita stessa. Che significato avrebbe vivere se poi tutto deve essere annientato dalla morte? E che senso avrebbe tentare di morire dignitosamente, da uomo, se la morte è un’assurda realtà che non ha niente a che vedere con l’esistenza umana?
   Ecco ritornare la domanda che molti filosofi si sono posti: la morte è fuori o dentro la vita? La risposta non è volta a placare una mera curiosità speculativa, ma ha delle importanti ripercussioni esistenziali. Infatti, si tenta di capire se il valore della vita è condizionato dalla morte o se è la morte che acquista valore tramite la vita.
   A quest’ultima posizione aderisce Maffettone, il quale afferma che, diversamente da quanto tradizionalmente si sostiene, “la morte può avere senso attraverso la vita concepita come realizzazione di valori”;
   Relativamente a queste problematiche non possiamo non tener conto della teoria formulata da Heidegger, il quale si contrappone nettamente alla visione della morte naturale, morte come fenomeno biologico, destino generale, dato oggettivo fuori dall’uomo, del quale non resta altro che prenderne coscienza. Egli ritiene che quest'evento della vita umana sia un fenomeno da comprendersi esistenzialmente, in quanto ha un valore soggettivo, ossia proprio del soggetto, ed è l’essenza stessa, il significato ultimo dell’esistenza, definita infatti come un ‘essere per la morte’.    L’individuo può comprendere se stesso solo a partire dalla morte, divenendo consapevole della propria finitezza, in quanto essa determina ogni sua azione; tutto nell’uomo è orientato verso la morte, il soggetto umano è appunto un ‘essere per la morte’. Essa è una possibilità alla quale l’uomo non può sfuggire e dopo di cui non ci sono più possibilità; Heidegger la definisce “la possibilità della pura e semplice impossibilità dell’esserci”!!
Ora il soggetto, per vivere autenticamente la propria esistenza, deve assumere con autenticità questa possibilità, deve interiorizzarla, non nel senso di pensare semplicemente di dover morire, ma prendendo coscienza del fatto che tutte le ‘cose’ della vita non sono definitive, sono solo possibilità; quindi egli non deve attaccarsi ad esse, il che non vuol dire rinunciarvi, ma solo coglierle nella loro vera natura, egli deve sempre rimanere aperto all’unica  possibilità che è definitiva, la morte appunto.
   La morte, comunque la si interpreti, resta per l’uomo un problema, una dura realtà con cui non tutti trovano la forza e il coraggio di confrontarsi apertamente.
 LA BELLA MORTE
Ho cercato di capire, nei miei viaggi tra Messico e Madagascar, come viene vissuta la morte, perchè è così importante per alcune culture, è quasi una Ossessione per ogni guppo umano, percipita in modo diverso.
Una cosa accomuna le due culture distanti, due continenti diversi eppure entrambe le culture Celebrano la Morte, la abbelliscono, ci danzano, la venerano. La bella Morte.
La Bella Morte è in Messico la Santissima Muerte, è una signora bella, affascinante( così mi fu descritta), in apparenza chi penserebbe che la morte fosse bella, vedevo immagini di uno scheletro con capelli lunghi e mantello bianco, vedevo i diversi santuari dedicati alla Bella Signora Morte decorati con fiori, fotografie di donne bellissime, e doni di ogni genere.
La Santa Morte, in breve, si presenta come uno scheletro abbigliato come una Madonna velata, in una mano un globo o una falce, nell’altra una bilancia, talvolta alle sue spalle una scala. Ad essere precisi, fatta eccezione per la festa di Ognissanti in cui viene vestita da sposa, non è vestita come una Madonna, è vestita esattamente come la Virgen de Guadalupe.  Di fronte alla cattedrale dedicata a quest’ultima è già possibile acquistare oggetti che si riferiscono al culto della Santa Muerte. Al suo altare vengono offerti fiori, candele, ma anche ventagli, sigari, alcolici (analogamente a quanto accade in Argentina con il culto di Gaucho Gil). Alla Morte si chiede protezione nel crimine, così come nel pericolo (tanto che anche alcuni militari e poliziotti messicani la venerano), le prostitute ne chiedono la protezione, i narcos le si votano nel contrabbandare ‘la fina’, così come prima d’eliminare un nemico, alla Santa Morte viene chiesta la benedizione del denaro, del taxi, dei coltelli, delle pistole. Ugualmente viene venerata come una Madonna da persone d’ogni ceto, non necessariamente malavitose. Le si rivolgono, nella chiesa di Tepito novene e rosari, intervallati da brevi formule specifiche (ad esempio: “Muerte querida de mi corazón, no me desampares de tu protección”) e nella notte della prima domenica del mese ha luogo un’affollatissima benedizione collettiva. Anche a Tijuana la Morte viene pregata pubblicamente in una apposita chiesa. David Romo Guillém si spinge a dire che i luoghi di preghiera sono 40 solo a Città del Messico e 400 nell’intera nazione. Analogamente alle novene mariane anche alla Santa Morte é riservata una lunga serie di epiteti: la Niña Blanca, la Flaqua, la Flaquita, la Novia, Divina y Poderosa Santisima Muerte, la Mujer de la Guadaña, Soberana Señora, Poderosa Señora, Nuestra Señora.  Nella devozione privata, la Santa Morte viene pregata secondo i canoni della Hechiceria, attraverso una ritualità magica che distingue poteri della Santa Morte a seconda del colore del suo mantello. Le più venerate sono la Morte Verde, pregata per protegger le persone in carcere “per giusto o ingiusto motivo” e  per uscire dalla tossicodipendenza, la Morte Rossa cui si chiede vigore sessuale e soddifazione in amore, la Morte Gialla preposta al denaro e al commercio. La Santa Morte vestita di Bianco é la più ecumenica, quella che allude al rinnovamento e alla rinascita spirituale, mentre quella Nera viene invocata per commettere fatti di sangue o esserne protetti.

“Alla morte si possono chiedere cose che non si possono chiedere alla Madonna”.

Si dice che i primi fedeli fossero carcerati e che come primo patto con la Santa Morte chiedessero in una forma ambigua di voto la possibilità di una morte violenta per se stessi. Questa era la prima richiesta a cui era possibile farne in seguito altre. “Per chiedere un favore alla Morte ci vogliono nervi saldi. Non si può tornare indietro”. L’accusa più grave che viene rivolta ai fedeli della Morte è che i favori della Santa verrebbero pagati con il decesso di un caro. In tutti i siti e le interviste lette questa è di gran lunga la leggenda da cui i fedeli della Morte vogliono prendere le distanze. Al contrario, viene detto, la Morte è solo una consolatrice benevola, benchè estremamente potente, e la brava gente d’ogni ceto che la prega e ne riceve benefici è lì a testimoniarlo. Quanto alle origini legate alla religiosità degli spagnoli viene citata la “Adoración del Hueso”, la Adorazione delle ossa, una ceremonia in cui, in occasione del primo novembre le ossa dei santi e dei martiri venivano esposte per la venerazione popolare. Di questo vengono citate le testimonianze pittoriche di Taxco, Zacatecas e Toluca. Analogamente si ricorda che una statua della Buona Morte o della Santa Morte apriva le processioni del Venerdì Santo.

Celebrare il culto della morte significa contemplare l’origine della vita. Ecco la verità dalla quale partire per capire "la morte" celebrata.

ARTICOLO PUBBLICATO SULLA SANTA MUERTE
http://www.instoria.it/home/culto_messico_santa_muerte.htm