martedì 11 dicembre 2012

SIAMO UNA "RAZZA"

RAZZA: Le origini del termine







Tra i miti che hanno dato un volto al mondo moderno, quello di “razza” è sicuramente il più sprovvisto di fondamenti razionali e proprio per questo il più funesto. La parola “razza” compare per la prima volta in Europa nel secolo XIV,probabilmente derivata dal latino radix=radice, o dall’arabo razza, o da generatio=generazione, discendenza, o più semplicemente da ratio=ragione, che nel linguaggio scolastico del secolo XV significava fra l’altro l’ordine di successione secondo il quale un essere vivente veniva collocato in una data linea di ascendenti e di discendenti. Usato in un primo momento nell’ambito dell’allevamento degli animali, (probabilmente originato dal francese antico “haraz”, allevamento di cavalli, e volgarizzato in francese come “race”), viene usato per la prima volta per l’uomo da Bernier (1688) ed entra nell’uso corrente
ad opera del filosofo Emanuel Kant (1775). Tuttavia il concetto di razza diventa fuorviante e privo di senso quando tende a confondere le caratteristiche fisiche dell’uomo con quelle della cultura, della religione o dell’economia; cioè, quando le caratteristiche storiche e culturali dei “gruppi etnici” sono confuse con le caratteristiche biologiche delle diverse popolazioni umane.È dentro la dinamica conflittuale tra etnia ed etnia che trova la sua radice il sentimento di repulsione dell’altro che nell’età moderna ha dato vita alle ideologie razziste. Ogni individuo, specie se culturalmente impreparato e socialmente debole, trova il senso di sé e si esprime nella repulsione dell’estraneo, la cui presenza gli appare come una minaccia. Che il segno della estraneità sia il colore della pelle, la lingua indecifrabile, la patria diversa o la diversa religione è di secondaria importanza: la spinta oscura che porta alla repulsione dell’altro è, in tutti i casi, la paura della perdita della propria identità di gruppo che, dal punto di vista psicologico, dà al debole subconscia sicurezza.
Le idee razziste non si svilupparono solo sotto un mistificato biologismo. Esse trovarono le loro basi nella volontà di potenza degli stati nazionali e nelle organizzazioni industriali e commerciali centro-europee dell’800.
Teorico di queste concezioni fu il conte francese Joseph Arthur Gobineau che nel suo saggio in quattro volumi su L’inegalité des races humaines (18531855) dimostrò con grande dovizia di erudizione come la disuguaglianza delle razze umane sia il meccanismo che regola la storia e che nessuna civiltà è nata o è durata senza la razza bianca e che a sua volta la razza bianca ha avuto ed ha come porzione eletta la famiglia ariana. Venuti dall’Asia centrale, gli Ariani hanno compiuto imprese mirabili come la distruzione dell’impero romano, di cui ereditarono tutte le qualità positive, ma si sono anche pervertiti, mescolandosi ad altre razze ed alle popolazioni locali come è avvenuto nell’Europa mediterranea.Per affrontare il problema della variabilità umana è necessaria innanzitutto una chiarificazione concettuale. La nostra specie appartiene alla famiglia degli Hominidae ed è rappresentata, secondo la terminologia Linneiana da un solo genere (Homo) e da una sola specie (sapiens). Anche se l’individuo è l’unità fondamentale su cui opera la evoluzione, l’entità di base della sistematica animale e vegetale è la specie. Attraverso la definizione di specie possono essere caratterizzate quelle inferiori. Secondo il criterio biologico di specie elaborato negli anni ‘50 da Mayr «le specie sono gruppi di popolazioni interfeconde isolate riproduttivamente da altri gruppi simili». Questa definizione di specie presuppone una coesione fra gli individui che formano la stessa specie, determinata da tre fattori:

1. la facoltà di discriminazione e di riconoscimento dei componenti di una
specie come appartenenti a una singola comunità riproduttiva;
2. la coesione genetica fra i componenti di una stessa specie, determinata dal
continuo rimescolamento del materiale genico, per cui la specie (o più precisamente
la realtà della specie) non è altro che un discontinuo complesso
di geni della popolazione di cui è composta la specie;
3. l’interazione ecologica degli individui di questa specie con quelli di altre
specie di piante e di animali.
Questo concetto di specie presuppone che le specie siano composte di popolazioni e che le caratteristiche della specie non siano tipologiche, ma statistiche. In pratica quindi, per decidere se due popolazioni o gruppi d’individui rappresentano una, due o più specie diverse, è necessario sapere:
a. se le due forme sono morfologicamente identiche o diverse;
b. se riproduttivamente sono isolate o meno;
c. se coesistono nella medesima area e sono quindi simpatriche o non coesistono nella medesima area e sono quindi allopatriche.
La “specie” si può definire pertanto come un «sistema che assicura e protegge le combinazioni genetiche favorevoli». Infatti la possibilità di accoppiamento, e quindi lo scambio dei geni, assicura all’individuo e alla popolazione la variabilità necessaria per l’adattamento alle diverse condizioni, mentre l’impossibilità di accoppiamento esterno (la barriera extraspecifica) protegge il gruppo dall’intromissione di caratteri inadatti, che sconvolgerebbero o comunque disturberebbero l’equilibrio dinamico dei geni che si è realizzato nelle popolazioni di individui che compongono la specie. Questa premessa sul concetto e sulla definizione di specie è importante per definire le unità sottostanti la specie. L’umanità vivente è distribuita praticamente su tutta la superficie terrestre: è cioè cosmopolita. All’osservazione morfologica esterna si presenta molto variabile.
Appartengono ad essa gruppi di individui biondi, dagli occhi azzurri, dalla pelle chiarissima e dalla statura elevata (media 182 cm), come gli Svedesi, e gruppi di individui dalla pelle bruna, dal capello nero, cortissimo e strettamente avvolto su se stesso, e dalla statura bassissima (media 144 cm), come i Pigmei africani. Nonostante queste differenze morfologiche esteriori, i vari gruppi umani attualmente viventi appartengono tutti a una specie, la specie Homo sapiens. Quando qualcuno ci piace perche è alto, muscoloso e biondo non dipende dalla sua diversa "specie" , ma il nostro tipo di preferenze si basa su caratteri visivi e viene data particolare attenzione a quelli cosiddetti vessilliferi. Se fossimo cani, con un olfatto e con un udito ben più sviluppati del nostro, apprezzeremmo molto di più gli odori e le inflessioni della voce dei nostri simili che invece consideriamo solo superficialmente. Le differenze fisiche tra gli esseri umani non costituiscono barriera per l’intesa sociale e per lo stimolo riproduttivo. Nel riconoscimento dei cospecifici e di potenziali partner ci riferiamo sempre a segnali specifici come il triangolo facciale, la postura eretta e gli attributi sessuali primari e secondari.Il razzismo pertanto, nella accezione che viene normalmente utilizzata, è un fatto prettamente culturale che si basa su motivazioni economicistiche e ideologiche supportato molto spesso da tradizioni religiose che eventualmente può fissarsi come odio di gruppo nella trasmissione culturale a livello subliminare
nella lunga fase dell’apprendimento culturale caratteristico della nostra specie (imprinting) o estrinsecarsi in occasionali episodi di violenza di gruppo. Dal punto di vista sociobiologico è infatti importante distinguere aggressività dalla violenza di gruppo (Chiarelli, 1984). Aggressività e violenza non sono sinonimi. Mentre l’aggressività ha un substrato nelle caratteristiche biologiche e nella emotività dell’individuo, la violenza è un prodotto dell’educazione.È la componente aggressiva della natura umana che ha permesso all’uomo di modificare l’ambiente e di adattarlo alle proprie esigenze. La sopravvivenza stessa della nostra specie e il suo successo demografico sono dovuti alla sua innata aggressività. Essa è implicita in ogni attività che intraprendiamo, anche quando si tratta di una creazione artistica o di una realizzazione scientifica.
Altra cosa è invece la violenza, troppo spesso ed erroneamente considerata come suo sinonimo.
QUANDO QUALCUNO PARLA IN TERMINI RAZZISTI:  Quel indiano ha un odore diverso, quelli di colore non si lavano, sono gialli , sono bianchi ecc... STIAMO PARLANDO SOLO DI CATEGORIE CULTURALI CHE NON HANNO NULLA A CHE VEDERE CON LA DIFFERENZA DELLA SPECIE, POICHE SIAMO TUTTI DI UN'UNICA SPECIE, QUELLA UMANA.
Quindi un fattore educazionale e niente affatto ereditario/FISICO sta alla base della violenza organizzata che può sfociare nel “razzismo”.
Il concetto di superiorità o inferiorità razziale tra gli uomini è pertanto fallace e non ha alcun supporto scientifico. Le differenze tra popolazioni esistono nel continuum della variazione genetica. L’istruzione e la cultura a livello individuale possono influenzare l’atteggiamento psicologico di singoli individui come di intere
popolazioni. Le differenze culturali e religiose non hanno nulla a che vedere con le caratteristiche fisiche delle differenti popolazioni che si sono realizzate e si sviluppano, attraverso una selezione adattativa ad ambienti fisici differenti.

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